PAROLE CHE DISTURBANO
/Di-sci-plì-na/
Cara lettrice,
grazie per i Suoi rimandi così attenti, così profondi, così puntuali. Mi sento onorata di passaggi come il Suo tra le pagine di questo blog, e del tempo che scegliete di dedicare all’ascolto o alla lettura delle mie parole. Provo un misto di emozioni che vanno da un profondo e crescente senso di responsabilità, alla voglia di bene e di far bene.
Grazie è una bella parola, una parola che in linea di massima dovrebbe evocare buone sensazioni, nell’ascoltarla come nel pronunciarla. Evocazione di buone sensazioni e facilità d’uso sono tuttavia cose molto diverse, e, senza voler approfondire qui ed ora, questa precisazione ci aiuta a capire come il rapporto con ciascuna parola possa per svariate ragioni essere unico e specifico per ciascuno di noi, ragioni indagabili ma insindacabili. Quanti faticano a dire grazie, per esempio? Quanti provano imbarazzo o disagio nel sentirsi dire grazie? Quante volte non sappiamo cosa rispondere ad un cenno di gratitudine dell’altro?
Tuttavia è innegabile che esistano parole che con maggiore probabilità tendano ad essere più ostiche e più difficili da metabolizzare rispetto ad altre
Le parole sono cosa viva: trasformano e ci trasformano, ed è per questo che dobbiamo maneggiarle con cura, non esagerare in eccesso o in difetto con la posologia, perché potrebbe avere effetti indesiderati sulle nostre anime.
Tuttavia è bene ricordare che la loro dimensione evocativa non è assoluta e non rappresenta un assoluto, per nessuno.
Liberi tutti, sempre.
Mi spiego meglio.
Ho creduto per molto tempo che dare nomi alle cose fosse fondamentale. E lo credo tutt’ora. Mi vengono in mente molti esempi: il nome proprio, in primis, ovvero la parola che ci viene donata quando iniziamo il nostro viaggio e che ci ricorda che abbiamo un’identità, che siamo stati desiderati e pensati in un certo modo; o il nome proprio che qualcuno si trova a cambiare nel corso della sua vita, perché rispecchi il proprio modo di sentirsi e di essere; la parola attraverso la quale si esplicita una diagnosi; la parola con la quale definiamo la nostra emozione, il nostro ruolo, la natura di una relazione, la richiesta che facciamo, l’aiuto che chiediamo, il dolore che proviamo. Esercitarsi e predisporsi ad un uso variegato e attento delle parole è un atto di rispetto e di amore per se stessi e per gli altri, che tra i molti effetti porta spesso con sé quello di una comunicazione più profonda e riuscita.
Tuttavia quasi mai la realtà può essere completamente compresa all’interno di una parola, categoria o etichetta, per quanto quest’ultima possa rappresentare una validissima approssimazione, e con il trascorrere del tempo lo imparo ogni giorno dalle esperienze di vita e di clinica. La meraviglia della vita consiste proprio nel suo sfuggire a definizioni esaustive, chiare e univoche e questa impossibilità di ridurla a qualcosa di delineato e nitido ci intimorisce: da qui la ricerca affannosa e affannata delle parole giuste, dei nomi corretti, quando in realtà, spesso, saremmo chiamati ad abitare il mistero, il paradosso, l’unicità della nostra persona e identità al di là di facili, rassicuranti ma spesso riduttive definizioni.
Ed ecco allora che siamo nuovamente davanti ad un paradosso: da un lato la ricerca delle parole giuste, buone, dette bene, scritte bene, scelte con cura; dall’altro l’altro la consapevolezza che non ci saranno mai le parole perfette o parole a sufficienza per dire chi siamo, cosa sentiamo, per narrare di noi e della nostra storia, parole capaci di arrivare all’altro esattamente come io le pensate, sentite e lasciate andare, perché quelle parole potrebbero evocare nell’altro che le accoglie pensieri, sentimenti e vissuti altri, anzi dell’altro.
Come si risolve il paradosso? Non lo so, mi dispiace di non saperLe dare la risposta che vorrebbe e che vorrei anche io. Ma credo che il paradosso non si risolva. Il paradosso si abita. Il mistero si attraversa.
Si sta.
Nel mio primo articolo del blog, Voce del Verbo RI-cominciare, da Lei tanto amato, non si aspettava di trovare il termine di-sci-plì-na. Lo scrivo nella forma estetica che più si avvicina simbolicamente al fastidio che questa parola può provocare, e di certo non solo a Lei. È una parola poco felice anche nel suono: la presenza di molte vocali chiuse non aiuta. Ma il motivo per cui non le piace e non piace a molti, ha certamente origini più profonde e antiche, che mi sento di ipotizzare condivisibili da tanti se non da tutti, sia per esperienze di vita concreta, sia per la posizione che la disciplina ha nell’immaginario collettivo. La associamo a rigidità, frustrazione, dovere, premi, punizioni, colpa, gerarchia, sottomissione… e chissà quanto altro, ma comunque sempre frutto di un’associazione inconscia che nulla dice della parola in sé, e tutto di noi e delle nostre esperienze di vita.
Dunque abitare il paradosso significa in questo specifico caso divenire consapevoli del conflitto che abita in noi e che la parola ha in qualche modo fatto risalire in superficie, perché se riusciamo a farlo emergere ne saremo meno soggiogati. Possiamo poi cercare parole diverse, parole nuove, parole buone che parlino al nostro cuore e del nostro cuore, che parlino per noi e di noi. Perché non rinnovare il nostro vocabolario come facciamo con altri aspetti della nostra vita? Togliendo termini che non sentiamo affini, aggiungendone altri, riducendo l’uso di quelli troppo ricorrenti che magari hanno perso anche il significato specifico originario, e aumentando l’uso di altri più consoni o corretti.
Abbiamo molte possibilità, abbiamo sempre molte possibilità, ma quello che conta è non confondere la forma con la sostanza, la via che scegliamo di percorrere con la meta, il metodo con l’obiettivo. Posso avere forme, vie e metodi molto diversi, a parità di sostanza, meta e obiettivo, ma se li confondo mi perderò per strada.
La invito dunque a chiedersi: non mi piace il termine di-sci-plì-na per quello che evoca, e dunque quanto ho appena scritto può essere utile spunto di riflessione, o non mi piace il concetto di disciplina? In quest’ultimo caso è necessario invece non fermarsi all’involucro ma tornare alla sostanza, al contenuto, al cuore della parola.
Abbiamo tutti bisogno di disciplina, nella nostra vita individuale e nella nostra vita sociale. Senza disciplina vivremmo in balia delle nostre pulsioni e dei nostri istinti, con delle ripercussioni disastrose su tutti i piani. Disciplina deriva dal latino discere, ovvero imparare, educare. E tutti abbiamo proprio bisogno di imparare, dis-imparare per re-imparare, educare ed educarci tutta la vita, perché per tutta la vita saremo posti di fronte alla scelta tra due o più strade, comportamenti, emozioni o decisioni da prendere, e per scegliere senza troppo tormento e in una direzione sufficientemente sana, dobbiamo aver stabilito la nostra Regola, quell’insieme di principi e valori che ci orientano e che orientano il nostro comportamento, aiutandoci come una bussola a non perderci, e facendo sì che anche nella tempesta la nostra barchetta rimanga, o almeno provi a rimanere, ancorata al fondale. Parlo anche di piccoli comportamenti, di piccoli gesti quotidiani con i quali rinnovo la fedeltà ai miei valori e ai miei obiettivi, e in ultima analisi, la fedeltà a me stessa. Senza una sana autoregolazione non possiamo prenderci cura di noi e rischiamo la deriva. Siamo chiamati a regolarci se vogliamo vivere una vita piena e in salute, sia dal punto di vista fisico, sia dal punto di vista psichico, sia dal punto di vista spirituale, e a chiedere aiuto alle persone giuste e nei posti giusti quando non ci sentiamo in grado di farlo. Siamo chiamati a trasmettere alle giovani generazioni l’importanza della disciplina e di sana capacità di autoregolazione e come sempre il modo migliore per trasmetterla è incarnarla.
Quello che si dice poco, e io concludo questa mia proprio dicendolo a gran voce, è che questa regola, questa disciplina perché non perda il suo valore, per essere vissuta e non solo dichiarata, devo avere due caratteristiche imprescindibili: la prima è essere radicata su un principio d’amore e di bene, la seconda è essere oggetto di una scelta personale. Qualunque regola, legge, indicazione che non sia un atto sostanziale d’amore per se stessi e per l’altro è destinata a trasformarsi in mera direttiva castrante e frustrante, di cui non si intravvede il senso e che dunque si abbandonerà quanto prima, proprio perché, in una struttura sana di personalità, si sceglie di accogliere, aderire e formulare, regole che siano per il mio bene e per il bene dell’altro. La bontà di una regola, di una disciplina, di un codice etico, non sono date una volta per tutte, non possono esserlo, proprio per quanto ho appena scritto. Per non perderne il valore profondo, le radici sane che le hanno generate, devo vangare il terreno ciclicamente, ripulirlo dalle erbacce, potare i rami secchi, e rinnovare con costanza le scelte e le promesse che ho fatto a me stessa.
Spero di averLe, almeno in parte, risposto.
A presto, e ancora grazie perché la Sua lettura così attenta mi ricorda che queste mie parole , scelte con tanta cura, troveranno accoglienza.
Maria Grazia
Note personali
Mi chiamo Maria Grazia Calabrò.
Sono psicologa, psicoterapeuta e specialista in psicologia clinica.
Prima di diventarlo ho conseguito una laurea in Scienze della Comunicazione (ind. Comunicazioni di massa): comunicare è tutt’ora una mia grande passione. Anche una necessità.
Lavoro a Torino e online, con adulti, anziani, coppie e adolescenti.
Mi occupo di supervisione organizzativa e clinica a gruppi e singoli, e di formazione.
Tutelo in massimo grado la privacy di tutti, anche la mia, dunque non troverete mai nessun riferimento, neanche indiretto o implicito, ai miei/alle mie pazienti, e a tutte le situazioni che seguo in supervisione. Di conseguenza i testi che scrivo possono contenere riferimenti a fatti o persone frutto di fantasia, mentre saranno sempre vere e reali le riflessioni psicologiche e introspettive che da essi scaturiscono, in quanto ‘mie’.
Contatti:
Maria Grazia Calabrò
Via san Secondo 7 bis
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Cell. 3385296452
E-mail mgcalabro@hotmail.com
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Data pubblicazione: 29 gennaio 2022
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