giovedì 25 novembre 2021

Del nostro essere ABBANDONABILI

 Del nostro essere abbandonabili


Mio caro e giovane amico,

saperti tra il mio pubblico di lettori è per me sempre motivo di onore misto a meraviglia, che diviene spinta a dire bene, magari poco, ma bene, con profondità e rispetto, consapevole di quanto ci si possa reciprocamente trasformare con le parole. Grazie, dunque, per la fiducia e la stima che mi accrediti: mi fanno sentire meno la fatica di un lavoro che mi appassiona ma che mi chiede molto, e mi riempiono il cuore di una gioia che scalda e rinfranca l’anima.

Ho acquistato di recente l’ultimo libro di Chandra Candiani,  Questo immenso non sapere (2021) , e per puro caso mi sono imbattuta in una presentazione in diretta Facebook che, se vuoi, puoi andare a cercare e rivedere. L’autrice, con tutta la grazia, la profondità ma anche la freschezza che la contraddistingue, ha letto alcuni passi del suo libro al pubblico e uno, tra i molti, mi ha profondamente colpito :


Ho capito di essere una persona abbandonabile. Non nel senso che non posso evitare l’abbandono, che mi è ovvio fin da bambina. Ma che lo considero una possibilità imminente e talvolta auspicabile. Un tempo pensavo di essere una che abbandona facilmente. Ora so che, anche se con dolore, sono abbandonatile. 

(Candiani, 2021, pag, 97)


L’abbandono esiste, e questa è una certezza. 

Sei giovane, ma non è detto che tu non ne abbia già fatto esperienza. Certamente ne farai. 

Spunta nei terreni più disparati e può assumere forme infinite, sfuggenti a qualsivoglia tentativo di classificazione. I più dolorosi sono gli abbandoni invisibili, dotati di una consistenza che schiaccia ma che sfugge ai sensi umani, abbandoni che oltre a subire devi, così parrebbe, anche spiegare, motivare, quasi giustificare agli occhi di quegli altri che vedono solo ciò che le pupille consentono e ignorano ciò che il cuore mostra. Come se non bastasse ciò che si sente, ma lo si dovesse provare davanti a un tribunale bizzarro, deputato a emettere sentenze di colpa e a sancire la legittimità o meno di una sofferenza, sulla base di chissà quali criteri. Ma la sofferenza ha una sua intrinseca legittimità, un non so che di sacro, che si può decidere di interrogare, rivedere, analizzare e magari narrare in modo nuovo, ma solo dopo avergli dato accoglienza, rispetto e dovuto riconoscimento.

È più facile parlare di abbandono quando è oggettivo, sotto gli occhi di tutti. Le storie di animali abbandonati ci lasciano senza parole, o almeno dovrebbero, sempre che il nostro cuore non sia già indurito. Diverso e più difficile da mostrare la sensazione di essere soli e abbandonati a noi stessi quando in realtà siamo circondati da tante persone e magari anche inseriti in un nucleo , sia esso familiare, lavorativo, amicale o chissà cos’altro, apparentemente perfetto. Eppure accade. 

Accade di essere non pensati. 

Accade di essere non contenuti nella mente di chi ci ha messo al mondo.

Accade di essere trascurati da chi è affianco a noi tutto il santo giorno, ogni santo giorno.

Accade di essere lasciati soli in balia delle difficoltà, delle nostre angosce, proprio nel momento del bisogno.

Accade che il nostro ritorno non sia atteso.

Accade di essere rifiutati.

L’abbandono, dunque, accade. E se accade quando si è piccoli, nell’infanzia, è cosi difficile da digerire e da tollerare, così pericoloso,  che per salvarsi diventa quasi necessario accusarsi, pensare male di sé, attaccarsi o sforzarsi di essere come l’altro mi vorrebbe, perché questo altro non è un altro qualunque, ma un altro del cui amore si ha bisogno per poter sopravvivere, un altro la cui immagine va salvaguardata a tutti i costi dentro di sé: i bambini imparano a farlo molto  presto e da qui al considerarsi non degni di amore il passo è breve.

Brevissimo.

Ancora più breve quello che li porterà a divenire adulti mendicanti di un amore che spesso non riescono a trattenere perché convinti che si tratti di qualcosa di cui si debba essere degni e meritevoli, o di cui, quando malato, non riescono  a liberarsi, ma per gli stessi motivi.

L’essere abbandonabili di cui parla la Candiani, non ha nulla a che vedere con queste credenze fuorvianti: rappresenta, al contrario, una posizione sana, molto lontana da quella che ho appena descritto, oserei dire antitetica, una posizione radicata su una base di autenticità, su un sano e integro senso di sé, e su una concezione delle relazioni come frutto di una scelta libera e che libera, reciproca e rigenerante. 


Voglio dire che quando sento che non ci sono le condizioni per incontrarsi davvero, per intendersi senza troppa fatica,  << abbandonami >>  è un invito liberante. Non è obbligatorio tenermi, frequentarmi è facoltativo. E questo dà molta leggerezza e grazia all’incontro.

(Candiani, 2021, pag, 97)


Non entro tanto nel merito della formulazione dell’invito, <<abbandonami>>, che a tratti suona come come un imperativo esortativo, così meravigliosamente spiazzante nella sua formulazione da rischiare di indurci a identificare nell’altro colui che abbandona o che deve agire l’abbandono. Di fatto tutti possono abbandonare il campo, tutti ne hanno il diritto, e dovremmo abbandonare il campo per primi proprio noi, quando sentiamo di non essere voluti interamente per quello che siamo, quando sentiamo che non ci sono le condizioni per incontrarsi davvero e nemmeno la volontà di trovarle quelle condizioni,  senza attendere che sia l’altro a fare quel passo in nome di chissà quale difesa, pensiero, convinzione, speranza o presa di posizione.

Ma il grande regalo che ci fa questa pagina, caro giovane amico mio, è secondo me racchiuso nella fiducia con la quale è stata scritta e dalla quale sono sgorgate queste parole: una fiducia che riporta ad un sé sufficientemente (Winnicott, 1974) sano, integro e sacro, il mio e quello dell’altro, un sé che soffrirà forse di un dolore acuto e asciutto ma che non andrà in pezzi, non si sgretolerà e non verrà distrutto. Siamo stati addomesticati ad una concezione delle relazioni e dell’amore, soprattutto di coppia, come di qualcosa che ci tiene in vita, e non che arricchisce la nostra vita, con la conseguenza del pensare e sentire che senza l’altro non siamo nulla e non valiamo nulla. Se ti guardi intorno con occhio attento e disincantato troverai molte relazioni che si basano sul bisogno dell’altro, e non sul desiderio dell’incontro con l’altro, dello scambio, dell’arricchimento reciproco. 

Ti ricordi quando da piccino chiedevi ai bimbi come te: ‘Mi fai amico’? In realtà lo abbiamo chiesto tutti, e non sempre ci siamo sentiti accolti, e non sempre abbiamo accolto. Alcune volte abbiamo detto sì, e poi ignorato. Altre volte ci hanno risposto con un sì, per poi ignorarci. Succede. Il punto è che ci si sceglie. Sempre. Ogni giorno. E quando lo si dimentica la relazione si spegne poco a poco e talvolta rischia di diventare un palcoscenico nel quale ci si ritrova a recitare una parte, fino a quando almeno uno dei membri non trova la forza per sottrarsi alla messinscena e abbandonare il palco.

Che tu sia colui che trova questa forza, o colui che non è più voluto, certamente soffrirai, ma di un dolore che per quanto possa piegarti e ammutolirti, ti lascerà comunque intero, nella misura in cui non abbandonerai te stesso ma saprai custodire il tuo valore e quello della tua vita. Certamente sarà più facile se ci saremo sentiti completamente voluti, amati, accolti e benedetti nell’infanzia, ma sarà comunque possibile, grazie a buone relazioni correttive nel presente, che a volte, anche se non necessariamente, possono nascere in contesti professionali di cura.


Può fare molto male all’inizio, può atterrare ma poi piano piano si sente che sopra la testa e tutt’intorno si allarga un grande spazio libero. C’è più sfondo e un sentore appena accennato di nuove possibilità. L’odore è l’esatto opposto dell’odore di bruciato. Un profumo fresco di bucato appena steso, di pavimento appena spazzato e poi lavato. Con cura. Con le finestre aperte.

(Candiani, 2021, pag, 97)


Avrei voluto dirti molto altro. Delle benedizioni, per esempio, che possiamo sempre inviare a coloro che sono distanti da noi, per necessità o per scelta. Del rischio, che non devi assolutamente correre di confondere l’abbandono con la separazione sana e necessaria in quasi tutte le tappe evolutive per far sì che la vita proceda e faccia il suo meraviglioso corso. E di molto altro su cui certamente avremo modo di tornare nelle nostre conversazioni sino a tarda ora. Ma adesso, prima di congedarmi, vorrei condividere te un ultimo pensiero, solo in apparente contraddizione con quanto ho scritto sino ad ora… non temere. Se è vero che siamo tutti siamo abbandonabili, e lo è, e se è vero che che tutti abbiamo delle parti che ci rendono faticosi e non facili nella relazione, se tutto questo è vero, e lo è, allora in ultima analisi si tratta di scegliere.

Non abbandonare l’altro anche quando è poco amabile è una scelta.

Non abbandonare l’altro per le sue parti più ruvide, bensì tenerlo nella propria vita così com’è, nella sua interezza, è una scelta.

Non abbandonare l’altro alla prima difficoltà è una scelta.

E non abbandonare se stessi, mai, è la scelta migliore che si possa fare nella vita. Una promessa di fedeltà e di appartenenza da rinnovare continuamente.

Grazie ancora di essere qui, con me, adesso. Ne sono onorata. 


Maria Grazia




Note personali

Mi chiamo Maria Grazia Calabrò.

Sono psicologa, psicoterapeuta e specialista in psicologia clinica.

Prima di diventarlo ho conseguito una laurea in Scienze della Comunicazione (ind. Comunicazioni di massa): comunicare è tutt’ora una mia grande passione. Anche una necessità.

Lavoro a Torino e online, con adulti, anziani, coppie e adolescenti.

Mi occupo di supervisione organizzativa e clinica a gruppi e singoli, e di formazione.

Tutelo in massimo grado la privacy di tutti, anche la mia, dunque non troverete mai nessun riferimento, neanche indiretto o implicito, ai miei/alle mie pazienti, e a tutte le situazioni che seguo in supervisione. Di conseguenza i testi che scrivo possono contenere riferimenti a fatti o persone frutto di fantasia, mentre saranno sempre vere e reali le riflessioni psicologiche e introspettive che da essi scaturiscono, in quanto ‘mie’.


Riferimenti bibliografici:

Candiani C., QUESTO IMMENSO NON SAPERE, Torino, Edizioni Einaudi (2021)

Winnicott D., SVILUPPO AFFETTIVO E AMBIENTE: STUDI SULLA TEORIA DELLO SVILUPPO AFFETTIVO, Roma, Armando, 1974.


Contatti:

Maria Grazia Calabrò

Via san Secondo 7 bis

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Cell. 3385296452

E-mail mgcalabro@hotmail.com

Instagram: @maria_grazia_calabro.psy




Data pubblicazione: 25 novembre 2021





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